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La magia matematica delle bolle di sapone

di Armando Massarenti

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6 dicembre 2009

Pochi anni prima di lavorare alla Carmen – tutti pronti, col libretto in mano, per riascoltarla domani sera per radio o alla Scala? – nel 1871 Bizet aveva scritto dodici deliziose composizioni per pianoforte a quattro mani, uniche nel loro genere, Jeux d'enfants, una delle quali si intitola Bulles de savon. Sono "anni mirabili" per le bolle di sapone, nella musica, nella pittura, nella scienza. Così ci assicura Michele Emmer, che a questi oggetti apparentemente effimeri ha dedicato un'intera vita di matematico e di uomo di cultura. Anche se, a dire il vero, già un secolo prima, in Europa, bambini, scienziati e artisti si erano appassionati alle bolle di sapone. E già Newton – che non a caso amava raffigurarsi come un bambino che gioca sulla spiaggia – osservandone i colori aveva coltivato le proprie idee sulla composizione della luce esposte nell'Ottica (1704).
Il pittore Jean Baptiste Siméon Chardin (1699-1779), con le sue diverse versioni del dipinto Les Bulles de savon, ovvero Les Bouteilles de savon, aveva rovesciato in positivo un tema fino ad allora declinato da pittori, incisori e poeti soprattutto nei termini della vanità della vita e di tutte le cose. Nel dicembre 1992, il fisico francese Pierre-Gilles de Gennes, vincitore in quell'anno del premio Nobel per la Fisica, concludeva la sua conferenza a Stoccolma – tutta dedicata alla fisica dei materiali e in particolare alla Soft matter, le bolle di sapone che «sono la delizia dei nostri bambini» – con una poesia ascrivibile proprio al genere Vanitas. «Abbi divertimento sulla terra e sul mare. / Infelice è il diventare famoso! / Ricchezze, onori, false illusioni di questo mondo, / Tutto non è che bolle di sapone». Che a ben vedere contiene in sé anche il genere giocoso su cui pone l'accento per primo Chardin, seguito da molti altri ritratti di ragazzi con bolle, fino a quello celeberrimo di Manet, che ci riporta agli anni mirabili dell'800.
Oggi, in tempi di crisi, è fin troppo facile pensare alle bolle in negativo riferendosi alla finanza, alla borsa, al subprime o ai mercati immobiliari. Un effetto involontario del libro di Emmer è che ci aiuta a rovesciare la metafora. Le bolle sono il simbolo della bellezza. Una bellezza, e una ricchezza, di cui possiamo disporre tutti, assolutamente a buon mercato, e che in più ci impartisce una grande lezione in termini di conoscenza, di ricerca pura e disinteressata, che però poi finisce, per vie bizzarre e del tutto inaspettate, per produrre altra bellezza e altra conoscenza, con realizzazioni architettoniche, come la piscina olimpionica di Pechino, che fino a una decina d'anni fa sarebbero state inimmaginabili, o dimostrazioni matematiche su cui ci si era scervellati per secoli, come quella delle due bolle appiccicate tra loro di cui diremo tra poco. «Una bolla di sapone è la cosa più bella, e la più elegante, che ci sia in natura... – scriveva Mark Twain – Mi chiedo quanto dovrebbe costare una bolla di sapone se al mondo ne esistesse soltanto una».
Ma lasciamo la scienza economica e torniamo agli anni mirabili di Bizet. Mirabili per la scienza, soprattutto, anche se Emmer ci tiene a precisare che il suo libro non è un libro di scienza. Piuttosto è un libro che mostra quanto la scienza, nel corso dei millenni, sia parte integrante della cultura. Immaginatevi dunque il fisico Antoine Ferdinand Plateau (1801-1883) che, in nome del progresso della conoscenza, si costruisce una farraginosa macchina per fare le bolle. Era composta di anelli di fil di ferro che scendevano da pulegge nel truògolo pieno d'acqua insaponata con piccoli mantici tipo organi per soffiare a diverse potenze. Gira la manovella, pedala sui mantici, ed ecco scoperta una regolarità sorprendente, riscontrabile ogni volta che si soffia in una soluzione d'acqua saponata, o quando si lavano i piatti o si agita una bottiglia di birra: le lamine saponate formano sempre solo angoli di due tipi, che Plateau misurò con assoluta precisione.
Mirabile davvero come risultato. Sarà dimostrato, con il rigore caro ai matematici, solo nel 1976 dall'americana Jean Taylor. Plateau c'era arrivato soffiando e pedalando. E già qui troviamo una grande lezione. C'è un aspetto pratico e sperimentale nella matematica che spesso viene trascurato. Le bolle di sapone permettono di risolvere in un battibaleno problemi teorici assai difficili. Per esempio, per trovare il percorso più veloce tra diversi punti di una cartina (il cosiddetto "problema del commesso viaggiatore"), basterà appoggiare una bolla di sapone sui chiodi posti in quei punti e questa disegnerà proprio il percorso minimo! «Già, perché anche in matematica gli esperimenti hanno un ruolo importante - scrive Emmer – . È stato così con le bolle di sapone. Che la matematica sia al servizio della scienza è un luogo comune; ma quello che viene compreso meno di solito è che gli esperimenti stimolano a volte l'immaginazione matematica, aiutano nella formulazione di concetti e indicano direzioni privilegiate agli studi matematici».
Perché si forma una sfera, quando soffiamo su una lamina di sapone? Già Archimede aveva osservato che di tutti i solidi con la stessa superficie, la sfera è quella che ha il volume maggiore. «È quella che si chiama la proprietà isoperimetrica (cioè di avere lo stesso perimetro o, in questo caso, la stessa superficie) della sfera. Quando soffiamo, la lamina, per effetto della tensione superficiale, cattura il volume d'aria e, minimizzando la superficie della lamina, forma la bolla sferica». Nel 1873 Plateau pubblica il suo Statique expérimentale et théorique des liquides soumis aux seules forces moléculaires che ha per protagoniste assolute le lamine e le bolle di sapone e che è anche una sistemazione moderna della teoria delle superfici minime, quelle superfici che minimizzano l'area della superficie rispetto a qualche proprietà; nel caso della bolla di sapone, rispetto al volume d'aria contenuto. Anche in questo campo Plateau anticipava risultati che sarebbero stati dimostrati molti anni più tardi. Come si configurano due bolle che si toccano? Due bolle dello stesso volume si dispongono simmetricamente con una lamina piatta che le divide. Lo si può vedere e intuire, ma la dimostrazione, dopo generazioni di tentativi sarebbe arrivata solo grazie all'uso di potenti computer nel 1995, con Joel Hass e da Roger Schlafly.
  CONTINUA ...»

6 dicembre 2009
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